Donne: pensioni 36% in meno rispetto agli uomini

Donne: pensioni 36% in meno rispetto agli uomini

INFORMAZIONI FNP EMILIA ROMAGNA

06/03/2024



Donne: pensioni 36% in meno rispetto agli uomini

Continuità di carriera differente determina reddito da pensione inferiore, mentre l’allineamento dei requisiti pensionistici ha portato a norme più rigide rispetto al passato.

Sono questi i motivi alla base dell’attuale differenza, sino al 36% in meno, della pensione percepita da una donna rispetto ad un uomo, rilevata da un’indagine del Civ dell’Inps. Infatti, su 16,1 milioni di pensionati nel 2022, il 52% sono donne, che però percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici, ossia 141 miliardi con importo medio mensile di 1.416 euro, pari al 36% inferiore rispetto a quello maschile.

Negli ultimi 20 anni il divario di genere nominalmente è cresciuto nel tempo, passando da 3.900 euro nel 2001 a 6.200 nel 2022. Rapportando la differenza al reddito delle donne, il divario è invece diminuito dal 42 al 36%. Le donne prevalentemente percepiscono il reddito pensionistico più basso (fino a 1.500 euro mensili) mentre più del 70% dei percettori (oltre i 3.000 mensili) sono uomini. Questo per la differente tipologia di prestazione percepita. Nel 2022, il 50% degli uomini riceve una pensione anticipata - quelle in media di importo più elevato - contro il 20% delle donne, prevalenti nelle pensioni ai superstiti. I divari emergono anche negli importi medi delle prestazioni, con un vantaggio maschile medio di oltre il 60% (1.430 euro contro 884 euro, nel 2022, e nel numero di prestazioni pro-capite (mediamente maggiore per le donne). Ancora, profonde differenze di genere sono a parità di tipologia di prestazione, come vecchiaia e invalidità che mostrano un gap del 50%. I trattamenti assistenziali, legati a situazioni di disagio economico e con tetti massimi relativamente contenuti, hanno invece valori simili. Le pensioni al superstite, di cui le donne sono le principali beneficiarie, riducono il divario, ma in modo piuttosto contenuto. Circa le prestazioni legate all'attività lavorativa (anticipate e vecchiaia), il gender gap, secondo l’analisi Civ, è legato a tre fattori: retribuzione oraria, tempi di lavoro (quante ore si lavora a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno) ed anzianità contributiva (conseguente durata e continuità della vita lavorativa).

“Le donne -afferma Gina Risi, segreteria Fnp Cisl Emilia-Romagna- sono penalizzate perché le uniche, all’interno della famiglia ad occuparsi prevalentemente della cura di figli e genitori, spesso non autosufficienti, a detrimento della continuità temporale ed oraria di lavoro. Sono le donne -osserva Risi- che chiedono il part time per crescere i figli o accudire un genitore ammalato, sino a licenziarsi per assolvere al compito di care giver”. Per la segretaria Fnp “occorre cambiare rotta, assicurando alle donne il sostegno necessario, affinchè possano avere sul lavoro le stesse opportunità degli uomini”.